– Ciao, come ti chiamano?
– Oliver e a te?
– Ciccio, a volte Pietro.
– A me spesso mi chiamano cane. Mi fanno una carezza e se ne vanno. A te le fanno le carezze? Quelle contropelo, sotto la gola o dietro alla orecchie. Tutte mi piacciono. Starei ore a pancia in su a farmi accarezzare da questi uomini. Però poi se ne vanno. Uno solo resta sempre con me. Mi dà da mangiare, bere e mi vuole bene. A te qualcuno vuole bene?
– Io ho due giganti che mi seguono sempre. Ormai mi sono abituato. Urlo, mi pappano. Cago, mi cambiano. Quando sono stanco, s’inventano strani modi per farmi rimbalzare.
– Povero amico. Ma ti tengono prigioniero?
– Vado dove voglio, ma alla fine siamo dove vogliono loro. Mi portano in tanti posti diversi, per tornare poi nello stesso. Forse mi vogliono confondere.
– Prigioniero o no, ti vedo bene: gambe carnose, pancia rotonda, guancia dorate. Secondo me, tu mangi. Da quando sei in giro?
– Non so, ho sentito dire dodici mesi. Tu?
– Io sarò in questa piazzetta da almeno cinquanta e non ho ancora perso la voglia di correre per strada.
– A chi lo dici, amico. Purtroppo i giganti mi fermano sempre. Però ogni tanto mi prendono su e mi fanno volare. Quello mi piace ancor di più. Tu hai mai volato?
– No Pietro, io sto bene con le zampe per terra.
– Chiamami Ciccio, ti prego.
– Bau.